“L’esperienza primordiale” di Robert Reininger

Filosofia sul fondamento dell'esperienza mistica

“L’esperienza primordiale” di Robert Reininger

diario: “(Sulla collina di Pöstlingerberg) Cielo senza nuvole sopra di me, vestito di oro rossastro dal sole calante della sera, davanti a me le vette fresche di neve dell’estesa catena alpina in tutta la sua travolgente bellezza e la verdeggiante foresta di pini, familiare vista posteriore della dorsale di colline che costeggiano la città, poi in lontananza la sconfinata pianura nelle sue sfumature azzurre […] Come con una forza irresistibile, ecco che, d’un tratto, il mio treno di pensieri si staccò dall’ammaliante morsa della sensualità: il mio intero essere, con tutto il mio pensare, si immerse fino al punto dell’oblio di sé nell’eterno, onnipresente pensiero della Divinità. Con insospettabile luminosità, un’idea che per anni era andata perduta, balenò di nuovo nella mia mente, una sorta di idea del Divino, dell’eternità e della dignità umana”. [1]

Questa esperienza sul familiare picco caratteristico che domina Linz (Alta Austria) ha lasciato un segno indelebile sull’intera vita del filosofo Robert Reininger. Da qui derivò quella che poi fu la realizzazione della sua vera vocazione, vale a dire impartire all’umanità questo grande segreto con il supporto del suo talento filosofico.

Nel corso dei decenni della sua carriera di insegnante all’Università di Vienna (1913 – febbraio 1940) cercò sempre di sottolineare nelle lezioni l’unica e sola realtà, “l’esperienza primordiale” nella quale tutto è sempre presente e di far comprendere la sua differenza rispetto al mondo dell'”io” che, invece, siamo noi a creare attraverso la nostra riflessione, il pensiero convenzionale e il linguaggio. Si imbatté in una realizzazione simile nelle Upanishad e negli scritti di H.P.Blavatsky, Meister Eckhart e Goethe così come in Schopenhauer e Nietzsche. Reininger diede anche una definizione a ciò e coniò i termini “esperienza primordiale”, “ego primario”, “ego intelligibile” seguendo la guida di Immanuel Kant, da lui stimato, sebbene Reininger in realtà si considerasse solo “parzialmente kantiano”.

Il 22 settembre 1918 annotò: “L’intelligibile non può essere considerato un prodotto di sviluppo ma deve essere considerato come un essere senza tempo, e la sua evoluzione può essere considerata solo come una graduale irruzione della luce attraverso l’oscurità: l’io intelligibile non diventa, piuttosto, semplicemente, scopre se stesso! Cresce, per così dire, dall’io empirico e attraverso il rafforzamento della sua etica”. [2]

Filosofia sul fondamento dell’esperienza mistica

In netto contrasto con i suoi colleghi viennesi, Reininger tenne anche conferenze sulla filosofia indiana. Colpito lui stesso in prima persona dall’etica buddhista della compassione, in particolare per quanto riguarda la benevolenza verso gli animali, era anche molto interessato alla dottrina Atman-Brahman delle antiche Upanishad Indiane.

Facendo tesoro della sua esperienza mistica, ha tentato di sviluppare una filosofia che solo per necessità era supportata dalle prerogative della mente. Egli ha, infatti, seguito l’esempio di filosofi come Spinoza, Fichte, Schopenhauer e Nietzsche. Ha anche cercato un compromesso, tuttavia, con gli “empiristi” e i “positivisti”, come il fondatore del “Circolo viennese”, Moritz Scheck, uno dei suoi colleghi all’Università.

Per la concezione filosofica di Reininger è ovvio che l’integrazione di un’esperienza religiosa all’interno della filosofia europea classica non può assolutamente avere successo, poiché la logica non può derivare dal misticismo. Senz’altro il misticismo può essere un punto di partenza o un supporto per la razionalità – come in Spinoza – ma la conoscenza intellettuale è ritenuta una cosa a parte rispetto alla saggezza. Eppure, per quanto la mente sia utile e indubbiamente importante, ha i suoi limiti. È solo con l’aiuto dell’intuizione, di un “pensiero che venga dal cuore” che il divario può essere colmato. Questo nuovo tipo di “pensare” è più simile a una comprensione globale, una concezione spontanea di ciò che è.

Come accennato in precedenza, Reininger ha molto apprezzato la filosofia del filosofo olandese Baruch Spinoza. Quest’ultimo aveva derivato il suo sistema dal principio di base che Dio esiste e che la Natura è tutt’uno con Dio, cioè che non c’è altro che Dio. Attraverso una maggiore intuizione, l’Uomo è quindi ritenuto in grado di purificare la sua mente dal solito ingarbugliamento delle opinioni e, con l’aiuto della vera intuizione, di crescere verso l’amore Divino che tutto abbraccia e comprendendo, infine, tutto.

Cos’è reale? Cos’è vero?

Anche Reininger riservava un posto d’onore tra i suoi insegnamenti all’esperienza primordiale. Riteneva che il mondo si sviluppa in una gradazione razionale di realizzazioni sempre più elevate, che tuttavia rappresentano solo verità relative e vengono costantemente “sostituite” da un punto di vista più elevato. Ogni “verità” è quindi inizialmente “assoluta” ma presto diventa relativa. Reininger negò quindi la verità assoluta in quanto tale. Nel mondo fenomenico esisterebbero solo verità relative che hanno origine attraverso il linguaggio, mentre l’esperienza primaria non sarebbe “vera” quanto, piuttosto, “reale”. La realtà del mondo non corrisponde alla realtà dell’esperienza primordiale.

In effetti, di solito siamo fermamente convinti che noi e il mondo siamo “reali” e che sappiamo cosa è “vero” e cosa è “reale”. Siamo soliti correggere affermazioni o giudizi “falsi” e parliamo di “errori”. Crediamo di poter specificare esattamente cos’è la realtà e cosa non lo è, come per esempio fantasie o sogni. Riteniamo che persone che “vivono nel loro mondo” non vivono nella “realtà”, che soffrono di “perdita della realtà”, diagnosi comune per i malati psicologici. Ma a dire il vero, ogni io ha il suo mondo e la sua realtà.

Spesso la definizione di verità e realtà è semplicemente una questione di potere. È un gioco di illusioni, Maya. Non potrebbe essere altrimenti, perché l’io stesso è solo illusione. Noi non conosciamo la realtà; noi inventiamo costantemente nuove verità e armeggiamo imperterriti per relegarle in una sorta di ricettacolo che sia sempre più sicuro per la costruzione della nostra realtà. Eppure, quanto desideriamo la verità assoluta e la realtà assoluta! L’io, in ogni caso, non è in grado di trovarla poiché la verità assoluta e la realtà assoluta sono qualcosa di completamente diverso da tutto ciò, hanno a che fare con qualcosa che dimora nel cuore e che è la causa stessa del nostro desiderio per l’eterno.

L’io primario e l’io secondario

Per Reininger, l’esperienza primaria è la consapevolezza che accompagna tutte le esperienze coscienti, ma che è al tempo stesso priva di contenuto; è relativa all'”io primario”. L'”io secondario” è la persona che attraverso immagini mentali (comprese quelle della propria forma fisica) percepisce il mondo e se stesso come identici. Ciò è possibile solo attraverso un fenomeno particolare che Reininger definisce “sensazione trascendentale”, la quale costituisce il ponte verso l’esperienza primordiale. Questa speciale sensazione pura è diversa dalla sensazione fisiologica. Solo attraverso di essa noi possiamo sperimentare “l’Uno”.

Secondo Reininger, la persona che vive di questa esperienza primordiale è la persona auto-autonoma, alla quale non è richiesta un’etica speciale. Questa porta “nobiltà” dentro sé stessa e può sempre dire “sì” all’esistenza nel presente perché è a conoscenza del vero sé.

Tra le altre cose, il filosofo si preoccupava della questione di come si fosse originata l’illusione della realtà del mondo e precisamente nel modo in cui crediamo che sia reale. Ciò porta a considerazioni del tipo: come ha avuto origine il due dall’uno o come ha avuto origine la molteplicità dall’uno; la molteplicità è identica all’uno o è qualcosa di diverso? Oppure: la “Caduta” è una caduta dal paradiso in un altro mondo scartato e malvagio o è il fare esperienza della realtà dell’io (secondario) in una sorta di sogno dal quale dobbiamo risvegliarci al fine di riconoscere che in realtà siamo divini e Uno?

Metafisica del silenzio

Reininger non trovò risposta a queste domande e finì i suoi lavori con la cosiddetta “metafisica del silenzio”; in altre parole, la metafisica deve limitarsi a “indicare il luogo in cui è nascosto il segreto finale e più profondo: nell’esperienza primordiale dell’Adesso. […] La filosofia finisce con stupore, rimane la sensazione metafisica del segreto. I confini della cognizione razionale non possono essere superati!” [3]  “L’uomo metafisico è profondamente e costantemente consapevole del mistero più profondo che ogni momento dell’esperienza nasconde in sé. Vive nella certezza di stare nell’eterno mentre è nel mezzo del temporale”. Per Reininger si è trattato letteralmente di esperienza metafisica.Nel cuore umano, come insegnano i Rosacroce, sonnecchia un elemento attraverso il quale diventano possibili esperienze metafisiche. Viene chiamato “atomo primordiale”, “bocciolo di rosa”. Quando questo si risveglia, la coscienza dell’Unità fondamentale è nata. All’inizio può germogliare dolcemente come un delicato, leggero luccichio e poi, nel corso della vita, fiorire in una “rosa profumata”; oppure in una “esperienza primordiale”, come fosse una folgorazione, una persona può d’un tratto diventare del tutto consapevole della sua discendenza divina. Questo dono di grazia fu conferito a Robert Reininger il quale, fino alla fine della sua vita, è stato sempre consapevole di esserne stato sostenuto e anche di aver usato la sua intelligenza e i suoi talenti per servire l’umanità con questo messaggio.
 

 

 

 

 


[1] Nawratil, Karl (1969): Robert Reininger. Leben – Wirken – Persönlichkeit, (Robert Reininger. Vita – Lavoro – Personalità).

[2] Nawratil, Karl (a cura di) (1974), Robert Reininger. Scritti giovanili 1885-1895 e aforismi 1894-1948.

[3] Reininger, Robert (1948): Metaphysik der Wirklichkeit (Metafisica della realtà).

 

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Informazioni sull'articolo

Data: Febbraio 26, 2019
Autore / Autrice : Jutta Valent (Germany)

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