Guarigione interiore

Prima di curare qualcuno, chiedigli se è disposto a rinunciare alle cose che lo fanno ammalare. Ippocrate

Guarigione interiore

 

La Terra è malata, a causa dell’umanità. L’umanità è malata, a causa di se stessa, delle sue scelte, della sua incoscienza. La crisi ecologica e le disuguaglianze della crescita sociale sono sintomi di questa malattia fondamentale che è sempre più difficile ignorare. Questa osservazione ormai ampiamente condivisa richiede una cura urgente, con mezzi importanti ed efficaci. Ma un trattamento di successo non può essere applicato senza una diagnosi preventiva e chiara delle cause. Altrimenti le cure fornite, anche con grandi mezzi, mancheranno sicuramente il loro obiettivo e aggraveranno persino la malattia.

Affinché una diagnosi chiara possa emergere dalla nostra coscienza, dobbiamo accettare di guardare le cose in faccia oltre che in profondità, lontani dalle superficiali apparenze ingannevoli, senza pusillanimità o compiacimento, senza schivare o smentire, senza accuse o scuse. In breve, dobbiamo guardare obiettivamente, alla maniera di un’indagine scientifica.

Se stai leggendo questo articolo, è molto probabile che il tuo stomaco non chieda cibo invano da diversi giorni, e non corri il rischio di ricevere un proiettile o una granata da un momento all’altro, e non sei stato deportato in un gigantesco campo di aiuti umanitari, ecc. Proprio come l’autore di queste righe, hai il tempo di leggere, di pensare con calma, di porti domande essenziali e di trovare tu stesso le risposte. Non sei bloccato alla gola da bisogni vitali minacciati; appartieni a una società sufficientemente strutturata da poterti consegnare questo numero della rivista LOGON, in modo digitale o logistico.

Umanità, siamo malati. Auscultiamoci dunque.

I paesi sviluppati producono e vendono una quantità enorme di armi. Eppure nessuna guerra è scoppiata nei loro territori negli ultimi 75 anni. Hanno delegato ad altri (i loro clienti) questo omicidio su larga scala istituzionalizzato, organizzato e legittimato che si chiama “guerra”. Allo stesso modo, questi paesi producono quantità enormi di rifiuti, per poi esportarli massicciamente in paesi meno abbienti che li accettano a un prezzo ridicolo, senza sapere esattamente cosa farne. La barbarie moderna non è più militare, è diventata economica e finanziaria. Le conseguenze sono identiche: miseria, distruzione, deportazioni, inquinamento, mancato rispetto dei diritti umani fondamentali.

Contrariamente alle nostre affermazioni, non abbiamo sradicato la povertà, la carestia, la guerra, l’inquinamento, la dittatura o la distruzione degli ecosistemi. Li abbiamo solo esportati, li abbiamo allontanati per migliaia di chilometri dai nostri occhi, avendo cura di renderli invisibili. In Africa e altrove, migliaia di bambini e adulti muoiono ogni anno per aver lavorato a piedi nudi e a mani nude per estrarre materie prime altamente tossiche. Per cosa lo fanno? Per un misero salario che permette loro solo di non morire di fame, di sopravvivere giorno per giorno, senza previdenza sociale di alcun tipo. Per loro non c’è assicurazione sanitaria o aiuti contro la disoccupazione, nessuna pensione anticipata. E per chi lo fanno? Per noi! Per permetterci di godere di una pletorica gamma, rinnovata ogni anno, di smartphone eleganti e performanti, di SUV sempre più pesanti e meglio equipaggiati; in modo che possiamo scaricare e guardare su schermi sontuosi i nostri film e programmi TV preferiti, digitalizzati da Netflix o da altri; e per molti altri oggetti, di altrettanto discutibile essenzialità.

Per poter scegliere tra trenta shampoo diversi (davvero diversi?), tra quaranta saponi o bagnoschiuma diversi (davvero molto diversi?), tra centinaia di magliette diverse (…), ecc., intere popolazioni sono sfruttate, sradicate, tiranneggiate, umiliate, ferite. Vasti ecosistemi, vitali per il nostro pianeta, sono irrimediabilmente saccheggiati, tutto questo ovviamente il più lontano possibile dalle mete turistiche esotiche dove ci piace recarci regolarmente per crogiolarci al sole.

Il prezzo da pagare (da altri) per questi elementi superflui di benessere materiale è un prezzo ogni anno più pesante in termini di sofferenza e umiliazione. Siamo abituati a chiamare “progresso” o “crescita” questa valanga di beni materiali sempre più numerosi e sofisticati. Ma come lo chiamerebbero questi popoli oppressi, se avessero il tempo di pensarci? E come lo chiamerebbero questi ecosistemi devastati, se fossero dotati di parole? Questi eccessi e ingiustizie che tanto ci avvantaggiano possono durare indefinitamente? Non avvertiamo il rapido avvicinamento di una crisi globale, di uno spostamento globale irreversibile? Non è semplicemente logico, ovvio, necessario per un sano riequilibrio?

Le cosiddette “malattie della civiltà”, come l’obesità, si stanno sviluppando in modo esponenziale, insieme alla malnutrizione e alla carestia. Una “civiltà” che genera tali mali merita questo nome? Siamo consapevoli del colossale debito collettivo che accumuliamo giorno dopo giorno verso i nostri anonimi schiavi umani – coloro che fabbricano i nostri amati ninnoli in condizioni di lavoro malsane, pericolose e degradanti – verso i miliardi di animali sterminati ogni anno – quelli che alleviamo nel malessere totale – così come quelli che muoiono nei disastri naturali che la nostra incuria provoca? Sappiamo ancora fare altro che produrre, vendere, comprare e consumare? Diffondiamo angoscia e morte solo per assicurarci una felicità superficiale? Ogni atto inconscio è una pugnalata al tessuto sensibile del Vivente, di cui noi stessi siamo fibre.

Soprattutto, non distogliamo lo sguardo da questo elenco (non esaustivo) di sintomi di una malattia sistemica profonda. Questa non è un’accusa (chi dovrebbe essere accusato in particolare?) ma un’osservazione, una realtà oggettiva permanente alla base delle nostre occupazioni quotidiane, delle nostre gioie e preoccupazioni. Il fatto è che la malattia è grave, preoccupante, globale e ha molteplici ramificazioni. Inoltre, il suo sviluppo è a buon punto perché fino ad oggi non è stato preso seriamente in considerazione.

Ma se i suoi sintomi sono fisici, materiali e sociali, la nostra stessa malattia comune è spirituale. Perché è al centro del nostro modo di intendere la vita, il nostro posto nell’universo e le nostre interrelazioni che sta alla radice di tutte le devianze sopra descritte. E non basterebbe un trattamento soft; siamo andati troppo oltre, per troppo tempo, nello squilibrio. Sedute di yoga, sofrologia o pilates, ore di meditazione su uno zafu ricoperto di seta, o in templi immacolati con sedie perfettamente allineate, non basteranno a curarci dalla nostra incoscienza, dalla nostra insensatezza, dal nostro egocentrismo. Questi metodi gentili non saranno sufficienti per alleviare il nostro immenso debito verso i Viventi, un debito che continua a crescere di ora in ora. Possono solo farcelo dimenticare per un po’. 

La nostra guarigione individuale e collettiva sarà al prezzo di un trattamento radicale, grave quanto la nostra stessa malattia comune. La prima fase “clinica” di questo trattamento si chiama “rinuncia”. Rinuncia a tutto ciò che danneggia il Vivente in tutte le sue manifestazioni, compreso il nostro stesso corpo; rinuncia alla supremazia, sfruttamento, dominio, competizione, inebrianti sentimenti di potere e invulnerabilità; rinuncia al meschino egoismo, all’avidità, al ritiro, all’irresponsabilità, all’illusione di essere separati dal resto della Creazione e alle azioni fatali che ne derivano; rinuncia a qualsiasi forma di potere sugli altri, su eventi e situazioni, a qualsiasi manipolazione, a qualsiasi opacità organizzata; rinuncia al dolce sonno dell’agio, del benessere morale e materiale vissuto come fine in sé, di questo letargo dell’anima. La rinuncia è la via regale per la guarigione interiore, proprio come il monopolio egocentrico era la causa primaria della malattia. Lasciarsi andare, liberare, accettare, condividere, collaborare, adattarsi, risvegliare, compassione, saranno le parole chiave del “trattamento”.

Poiché siamo diventati troppo indulgenti e apatici per poter infliggere a noi stessi questo rimedio vitale, la Natura, che non ha rancore, viene in nostro aiuto. Perché il nostro squilibrio interno, proiettato ovunque intorno a noi dalla nostra diligente cura, è diventato suo proprio. E questo grande corpo della Terra, molto più saggio e vivo di noi, lavora instancabilmente alla propria riparazione, che diventerà anche la nostra. La sua prima azione “terapeutica” è stata una distribuzione generale e generosa del coronavirus. Pensa ai miliardi di rinunce personali, familiari, professionali, culturali, industriali, politiche, finanziarie e di culto che questa ondata virale ha già provocato, per non parlare degli episodi climatici estremi sempre più frequenti che l’hanno accompagnata. E questo è solo l’inizio. Possiamo osservare un certo rallentamento della nostra folle corsa, un parziale ripristino della salute planetaria, ma la ripresa è ancora molto lontana; il meccanismo mortale è certamente sventato, ma i suoi ingranaggi ideologici e pratici rimangono intatti; i riflessi produttivisti/consumisti sono ancora saldamente ancorati, pronti a ridistribuirsi alla minima tregua.

L’unico rimedio per l’attaccamento è la rinuncia. Se la rinuncia non viene spontaneamente da dentro di noi, allora deve venire da fuori. La natura si ripara, si riequilibra: è “nella sua natura”. Tutto è in equilibrio; ogni squilibrio viene automaticamente compensato, corretto. Le leggi terrene che lo governano sono le stesse che governano il grande universo. Queste leggi sono costanti universali: gravitazione, velocità della luce, ecc. Come indica il loro nome, queste costanti sono immutabili, invariabili, inalterabili. In caso di squilibrio, di tensione, non si adatteranno. Al contrario, è la causa della tensione che verrà corretta o eliminata. Ecco perché il rispetto delle leggi dell’universo costituisce la base della conoscenza. Tutto ciò che non vi si adegua è condannato a subire forti correzioni, o addirittura a scomparire.

L’insieme delle rinunce sopra elencate, seppur imposte, costituisce infatti una grazia, una benedizione, una mano tesa, non per l’ego abituale e possessivo ma per ciò che, in ciascuno di noi, appartiene al grande universo, alla Vita, e risuona ancora con il suo incessante richiamo. L’attuale incertezza è un potente aiuto al cambiamento, alla de-cristallizzazione delle mentalità e degli affetti devianti. È una sorta di disgelo che permette di rifluidificare ciò che si era eccessivamente contratto su di sé. E il cambiamento, la rottura, è oggi indispensabile, vitale per noi; la continuazione significherebbe per tutti noi distruzione e morte a breve termine. Accogliamo ogni rinuncia, ogni opportunità di rinuncia, come rigeneratore di vita, come sollievo del nostro debito cosmico, come guarigione tanto attesa. Andiamogli incontro con profonda coscienza, cuore aperto e mani libere.

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Informazioni sull'articolo

Data: Novembre 19, 2021
Autore / Autrice : Jean Bousquet (Switzerland)

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